La Festa Nera.


Talvolta i libri possono essere come certi incontri: giusti al momento giusto, giusti al momento sbagliato, sbagliati al momento giusto, sbagliati al momento sbagliato.

Ho imparato, non senza fatica, a riconoscere quando sono disposta ad affrontare gli incontri e i momenti sbagliati e quando, invece, le mie energie non sono sufficienti a tenere botta. 
So da quali persone stare alla larga, so chi posso cercare per ricaricarmi. 
Così come in genere so quali letture evitare e a quali invece dedicarmi, in base alla mia disposizione d’animo.
Questa volta, però, ho toppato in pieno. Ma non è affatto colpa del libro, che sarebbe stato un incontro giusto. La colpa è mia che non ho riconosciuto il momento sbagliato.

Non conoscevo l'autrice, Violetta Bellocchio,  ma ho letto - del tutto casualmente - una breve presentazione de La Festa Nera  e mi ci sono buttata senza pensarci più di tanto, attratta dalla promessa di una carrellata di tipi umani organizzati in comunità autarchiche in un'ambientazione post-apocalittica. Decisamente pane per i miei denti. 
Sin dalle prime pagine, però,  ho riconosciuto lo stesso sottile senso di...boh. Lo stesso boh che mi aveva impedito di arrivare alla fine della serie Black Mirror, mentre ero incinta di Alice.
Ho l'abitudine (ottima? pessima?) di non informarmi mai granché su un libro, prima di leggerlo. Scanso il più possibile interviste e recensioni, perché non voglio farmi condizionare in alcun modo. Se questa volta, invece, avessi letto anche solo qualche intervista all'autrice - come poi ho fatto dopo aver superato un complesso istante di sospensione -, avrei scoperto che questo legame che ho avvertito con Black Mirror non era poi così campato in aria, quindi anche il mio boh aveva ragione di esistere.
La distopia - che distopia non è - de La Festa Nera mi ha provocato una sensazione che posso paragonare soltanto a quello che provo quando penso per più di cinque secondi all’infinità dell’Universo. Una roba che mi stringe la gola e mi rallenta il respiro. Una percezione che si rivela immediatamente in senso fisico.
Questi scenari inesistenti ma perfettamente plausibili, verso cui la società di oggi potrebbe tranquillamente trovarsi a vivere in un futuro neanche troppo lontano, mi affascinano ma mi spaventano a morte. E siccome mi conosco mascherina, so che in questo preciso istante della mia vita non posso concedermi di lasciare spazio a quella sensazione. Sarebbe un momento sbagliatissimo. Quindi al primo sentore avrei dovuto fare appello al terzo diritto del lettore e lasciare lì il libro. 
E invece non l'ho fatto, perché mi conosco mascherina [parte seconda] e so perfettamente che raramente concedo una seconda possibilità ad un libro. Anche se riconosco che vale la pena leggerlo. La minestra riscaldata non fa per me, che ci posso fare. Quindi ho messo a tacere il boh iniziale, non per orgoglio, ma perché quasi sentivo di non poter fare diversamente.
E poi ho capito la ragione di un simile autolesionismo: questa Festa Nera mi ha riportato indietro nel tempo, a quando vivevo di pane e Isabella Santacroce. Non so se fosse una questione di età, o di ambiente, o di entrambe le cose, ma comunque all’epoca quella scrittura sapeva essere profondamente parte di me senza crearmi alcun turbamento, anzi, mi ci vestivo quasi, me la sentivo addosso e ci stavo comoda. Qui ho riconosciuto la stessa trappola ipnotica che ti afferra e ti trascina e alla quale tu non puoi - e non devi - opporti, perché tanto ti porta dove vuole lei. È faticosa, è macchinosa a volte, li avverti proprio gli ingranaggi - delle frasi, dei concetti, del filo della storia, dei tuoi ragionamenti - che stentano a muoversi con fluidità e che anzi, a volte ti travolgono con sadica violenza. Però ti prendono e non ti lasciano. Abbocchi ad ogni frase sospesa, apparentemente fuori contesto, segui le mollichine di pane - o, più propriamente, i filtrini di sigaretta - che l’autrice semina a terra per indicarti un percorso nella sua foresta rigogliosa di riferimenti, di flashback, di citazioni e di che cazzo vuole dire, dove vuole (farmi) arrivare. E quando lo capisci è già tardi e non te ne puoi tirare fuori, sei nel ritmo e stai ballando in una piscina vuota.

Ho tentennato quando sono arrivata alle ultime 20 pagine, perché l’autrice è stata molto brava ad accompagnarmi fin lì e farmi capire che, da quel punto in poi, sarebbe arrivato qualcosa. Un qualcosa che la protagonista aveva già rivelato a pagina 1, un qualcosa che era la meta dichiarata del viaggio dei personaggi, un qualcosa che ho cercato e aspettato insieme ad Ali, Misha e Nic. Ma il COME quel qualcosa sarebbe arrivato avevo paura di scoprirlo.
Ho avuto paura di farmi fare male, come spesso - forse sempre - mi è successo con la Santacroce, un male che ho sempre accettato, se non addirittura cercato, almeno fino a quando lei non ha cominciato ad andare alla deriva e io non ce l'ho fatta più a starle dietro, ma questo è un altro discorso.
Insomma, quelle 20 pagine sono rimaste ferme lì per un po': pagine di un libro giusto nel momento sbagliato, perché io non ero certa di poter sostenere l'impatto.

Ieri sera ho letto quelle ultime 20 pagine.
Il mio complesso istante di sospensione è durato decisamente più di un istante e mi ha rubato parte del mio (preziosissimo) sonno, perché ho avuto voglia e bisogno di ritornare alle prime pagine del libro. Poi ho cercato notizie sull'autrice e mi sono resa conto che, in realtà, la conoscevo eccome, ma che non avevo assolutamente realizzato che fosse lei (ciao, neuroni, ciao). Poi ho letto interviste grazie alle quali ho avuto risposte a domande che non mi ero fatta, ma che hanno anche confermato la liceità di certi miei giri di testa.

Ho capito che forse l'accostamento con la Santacroce non rende del tutto giustizia a questo libro.
Ho capito che nella mia cerchia di amici c'è una sola persona alla quale mi sentirei di consigliare La Festa Nera, perché so che sarebbe l'unica ad apprezzarlo (so che sai chi sei, buon non compleanno a te).
Ho capito che, come temevo, mi ha fatto male, ma forse il momento non era poi così sbagliato.


"Venite a prendermi, e vi racconterò la storia della ragazza più sola che ho mai conosciuto. E, voi direte, è una storia molto triste, forse la capirete e forse no, ma vi sentirete obbligati a dire che è una storia molto triste".

Commenti

  1. Grazie! Mi hai fatto venire voglia di leggerlo, perché mi sono ritrovata tanto nelle tue parole. Però no, il momento è sbagliato...ma la curiosità me lo farà cercare direttamente domani. Saprò ascoltarmi?

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