Abbiamo toccato le stelle.



Quando credi davvero in qualcosa, allora è il momento di farlo.


Esiste un momento particolare, nella vita del lettore, che mi piace chiamare “l'istante di sospensione”: è l'attimo – proprio solo un attimo- in cui arrivi all'ultima parola, chiudi il libro e cerchi di decifrare ciò che ti ha lasciato. È una stilettata di sentire a caldo, brevissima, che arriva ben prima del giudizio globale, delle elucubrazioni più o meno intellettualoidi, dei paragoni.
Nell'istante di sospensione, io mi lascio sempre scappare un grosso sospiro accompagnato da un sorriso di godimento compiaciuto o, talvolta, da un liberatorio “ma vaffanculo”, con conseguente lancio stizzito del libro. Altre volte mi sono sorpresa a piangere oppure sono stata inghiottita in una voragine di vuoto. Raramente ho provato il desiderio immediato di consigliare quella lettura a qualcuno. Ancora più raramente ho avvertito la spinta di andare sul balcone e gridare al mondo: dovete leggerlo tutti! Tutti! Sì, anche lei, signora col cane! E pure tu, cane della signora col cane!
Ecco, quest'ultimo attimo di sospensione a rischio TSO l'ho vissuto di recente, quando ho finito di leggere “Abbiamo toccato le stelle – storie di campioni che hanno cambiato il mondo” di Riccardo Gazzaniga.

Ho visto un post sul facebook del mio amico Blacks, grande saggio e fonte inesauribile di aneddoti sul mondo della musica e dello sport, e mi sono incuriosita. Lo ammetto, temevo una raccolta di stucchevoli ritratti di personaggi con vicende trite e ritrite, di imbattermi nel pantano di luoghi comuni e frasi fatte, noioso quanto l'espressione stessa “luoghi comuni e frasi fatte”. 
E invece no. Non è accaduto nulla di tutto ciò. 
Tra queste pagine spiccano, certo, doverosi omaggi ai pugni guantati e lanciati al cielo di Tommie Smith e John Carlos, all'incredibile impresa di Jesse Owens e al suo nemicoamico Luz Long, ai coraggiosi allenamenti del nostro Bartali lungo la Firenze-Assisi.
E qui sta la seconda insidia di queste antologie di vite straordinarie, che sotto sotto nascondono un sottile secondo fine motivazionale: sono vite la cui esemplarità è lampante, indiscutibile, inarrivabile. Roba che uno non ci pensa neanche a paragonarsi a Muhammad Alì, che ha combattuto il Rumble in the Jungle e il Thrilla in Manila. Voglio dire, non ho mai sentito nessuno dire “voglio essere come The Greatest”, che è chiamato così mica per niente, vuol dire che come lui nessuno mai, spostati proprio. Sono personaggi che giocano in un altro campionato e restano lì nell'Olimpo dell'ammirazione.
Il pregio di questo libro, invece, è che le vite e le vicende, anche quelle più note, sono raccontate con un piglio diverso dal solito: l'autore lascia che ad arrivare a noi sia il lato più umano di questi mostri sacri, ritraendoli come persone prima che come campioni. E in questo modo ce li fa sentire più vicini a noi, più arrivabili, e innesca inevitabilmente il meccanismo dell'empatia.
Per questa ragione i primi a cui ho pensato mentre scoprivo le vicende di grandi atleti e atlete che non conoscevo sono stati i miei alunni: loro sì che possono aspirare ad essere persone migliori, se scoprono che un bomber del calcio inglese può incontrare un suo piccolo ammiratore e stargli accanto durante la sua lotta al neuroblastoma. Oppure se leggono che alle Olimpiadi di Rio del 2016 ha partecipato una squadra molto particolare, quella degli Atleti Olimpici Rifugiati. E tra gli atleti c'era una ragazza siriana poco più grande di loro, che ha trainato a nuoto un gommone con venti profughi che stava per affondare nell'Egeo.
In questo libro, però, ci sono storie per tutti.
Per i campioni olimpici di lamentiadi e autocommiserazione c'è Alex Zanardi, che ha perso entrambe le gambe ma non si è arreso e, anzi, ha vinto ancor più di prima.
Per chi dà tutto per scontato c'è la storia di Kathrine Switzer, la prima donna a correre la maratona di Boston, quando ancora la corsa era roba esclusivamente da uomini.
Chi è incuriosito dagli aneddoti un po' vintage amerà la vicenda del nostro Dorando Pietri.
Chi riesce a vedere la luna indicata dal dito, troverà con piacere la storia di quell'uomo bianco sul podio insieme a Tommie Smith e John Carlos, che nessuno guarda mai.
Per me, che ho dovuto appendere i pattini al chiodo e ancora mi capita di sognare il ghiaccio, c'è Surya Bonaly.
E c'è anche l'incredibile racconto su Arthur, peloso e coraggioso compagno di squadra ai mondiali di Adventure Racing del 2014, per la signora col cane e per il cane della signora col cane.
Insomma, un bel libro che ha lo stesso confortante effetto delle stelline in brodo: ti mette in pace con il mondo.

Per chi poi avrà ancora fame, c'è il blog dell'autore QUI.
Come le pagine del libro, si tratta di letture da spiluccare un po' per volta oppure divorare d'un fiato. 

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