Per questo mi chiamo Giovanni.
Era il 1992.
Era il 23 maggio e io avevo dieci anni.
A Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
A tutte le vittime di mafia e a chi la mafia la combatte ogni giorno.
E a Daniel, che non c'è più ma occupa un posto speciale nei miei ricordi.
Non ricordo esattamente cosa stessi facendo ma ricordo distintamente le immagini che, all'improvviso, apparvero sullo schermo della tv.
Edizione straordinaria del telegiornale: sapevo che non significava nulla di buono, lo avevo imparato poco tempo prima, quando facevo colazione con latte, nesquik e notizie sulla Guerra del Golfo.
Ma quella sera le notizie non arrivavano da luoghi sconosciuti o lontani.
Arrivavano dall'Italia, dalla Sicilia, da Palermo.
E le immagini non erano di guerra, ma sembrava che lo fossero: macerie di quella che doveva essere un'autostrada - c'era il cartello verde- , auto accartocciate, uomini in divisa, persone dall'espressione smarrita.
La voce sgomenta dei cronisti mi aprì le porte su un mondo di cui fino ad allora avevo logicamente ignorato l'esistenza.
Attentato.
Strage.
Strage.
Mafia.
Agenti della scorta.
Giudice Giovanni Falcone.
Pochi anni dopo, durante una vacanza, passai proprio su quella strada, vidi quel cartello verde.
Mi sentii parte di una storia che era anche la mia e mi ripromisi di non dimenticare.
Era primavera anche quando un libro mi comparve sulla cattedra: lo aveva scelto un ragazzino come lettura mensile da esporre alla classe.
Si intitolava "Per questo mi chiamo Giovanni".
Si intitolava "Per questo mi chiamo Giovanni".
Riconobbi subito il cartello impresso sulla copertina e mi chiesi se non fosse un argomento ancora troppo complesso per una prima media, senza contestualizzazione, senza un discorso introduttivo da parte mia.
Non lo era, perché quando Daniel cominciò a raccontare la storia, i suoi compagni pendevano dalle sue labbra e volevano saperne sempre di più, volevano sapere tutto.
Fu poi in una terza media che ebbi l'occasione di usare questo libro per un progetto più strutturato in cui parlammo di mafia, di Falcone, di Borsellino, di Peppino Impastato, delle mafie mondiali, della montagna di merda.
Fu poi in una terza media che ebbi l'occasione di usare questo libro per un progetto più strutturato in cui parlammo di mafia, di Falcone, di Borsellino, di Peppino Impastato, delle mafie mondiali, della montagna di merda.
Le osservazioni iniziali dei ragazzi si rivelarono simili a quelle che non di rado si sentono al bar o si leggono sui social: "Ma prof., tanto qui la mafia mica c'è!".
Non era compito mio mostrare dove fosse la mafia, ma era mio dovere far capire loro cosa fosse e dietro quali maschere usasse nascondersi.
Guardammo film e documentari. Svolsero delle ricerche, si appassionarono.
Leggemmo "Per questo mi chiamo Giovanni" in classe, accompagnandolo con un ppt pieno zeppo di quelle immagini che io avevo visto nel 1992, i filmati dei tg, le pagine dei giornali, le foto dell'aula bunker del Maxiprocesso, i volti dei mafiosi, le strade di Palermo prese da Google Street View, i nomi e i ritratti delle vittime e dei membri del Pool Antimafia.
Qualcuno non riuscì a trattenere le lacrime, io ho spesso letto ad alta voce con il groppone in gola.
Qualcuno non riuscì a trattenere le lacrime, io ho spesso letto ad alta voce con il groppone in gola.
Con il passare delle settimane, si ricredettero.
Compresero che MAFIA non è solo far saltare in aria i magistrati; non è solo organizzare agguati, rapire bambini e scioglierli nell'acido; non è solo una lotta tra famiglie che si litigano un territorio; non è solo degrado, traffici di prostituzione e droga; non è solo cognomi siciliani, calabresi o campani.
Compresero che MAFIA non è solo far saltare in aria i magistrati; non è solo organizzare agguati, rapire bambini e scioglierli nell'acido; non è solo una lotta tra famiglie che si litigano un territorio; non è solo degrado, traffici di prostituzione e droga; non è solo cognomi siciliani, calabresi o campani.
Decisero di scrivere delle lettere a Falcone e Borsellino, lettere piene di speranza e di buoni propositi.
Alcuni chiesero persino scusa ai due giudici, perché il loro sacrificio ancora oggi sembra non essere servito a nulla, se ancora non siamo riusciti a sradicare la mafia dal nostro tessuto sociale e dalla politica.
Io invece dico che è servito.
Io invece dico che è servito.
Perché ancora oggi c'è chi non dimentica.
E decide di non avere paura.
A Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
A tutte le vittime di mafia e a chi la mafia la combatte ogni giorno.
E a Daniel, che non c'è più ma occupa un posto speciale nei miei ricordi.

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