Eleanor Oliphant sta benissimo.
Cara Eleanor Oliphant,
so quanto tu tenga ai formalismi, perciò ho pensato di scriverti una lettera come si faceva ai vecchi tempi.
Ho sentito molto parlare di te, ma ci ho messo un po' di tempo ad avvicinarmi. Temevo di incappare nel personaggio stucchevole di una stucchevole storia. Forse perché quello "stare benissimo" che ti identifica lo trovo uno stato d'animo così raro, così difficilmente raggiungibile, così...esagerato. Ok star bene, ma benissimo addirittura?
Ugualmente devo aver pensato di quel "gesto gentile" che, come dici tu stessa, è stato il primo della tua vita e ha cambiato ogni cosa. Vedevo già miele e stelline sberluccicanti colare copiosamente dalle tue pagine...bleagh.
Poi sono incappata senza volerlo in una discussione su di te e gli interlocutori ti classificavano come insopportabile e odiosa, per il tuo essere così severa verso te stessa e -orrore!- verso gli altri.
Pensa, è stata proprio questa etichetta a farmi decidere di prendere in mano la tua storia e devo dirtelo, Eleanor: mi sei piaciuta da subito.
Confesso che inizialmente, ma solo per un attimo, ho avuto paura di vederti scivolare comoda comoda nel ruolo di una macchietta alla Rebecca Bloomwood - sebbene, sia chiaro, non ci sarebbe stato nulla di male: ogni tanto un po' di chick lit è un toccasana per i neuroni -.
Ma non te lo saresti meritato.
Ho capito in fretta che il tuo essere inconsapevolmente comica non era un subdolo quanto mal riuscito stratagemma "ex machina" per farti risultare simpatica o accattivante.
Una rigorosa lucidità mentale annaffiata a vodka non poteva essere semplicemente fine a se stessa, come non potevano esserlo il tuo sentirti così sicura di te e a tuo agio, nella tua solitudine, nel tuo mondo di seconda mano e di camicie da notte giallo limone.
Ma tu non sei solo questo, vero Eleanor? Tu sei molto, moltissimo altro.
Sei un mosaico disordinato di ingiustizie e lecite rivendicazioni, tenute insieme da una sfiancante ingenuità che non ti sei mai curata di nascondere, perché per te non poteva esistere nessun altro modo di essere, nessun altro modo di vedere e vivere.
Sei il bersaglio prediletto di pregiudizi e piccole cattiverie quotidiane.
Sei l'adolescente che non sei stata quando adolescente dovevi essere.
Sei un punto interrogativo e un'esclamazione di sorpresa.
Sei il risultato di un'educazione d'altri tempi che però deve fare i conti con una modernità aliena.
Sei il trauma e la sua elaborazione.
Sei forte ma non per il motivo che credi tu.
Sei una pianta-fenice che deve morire, per vivere.
Sei vulnerabile e, quando te ne sei accorta, avrei voluto abbracciarti fortissimo.
Sei una curiosa miscellanea di come mi sono sentita almeno una volta nella vita.
Ma tu di più e tutto insieme contemporaneamente.
Sei, e questo l'ho capito solo dopo, una potentissima rielaborazione del mito della caverna di Platone.
Mi hai dato tanto, Eleanor.
Mi hai dato modo di riflettere su innumerevoli sfaccettature della vita, tua ma anche mia, e ho sofferto un pochino quando ho dovuto salutarti.
Mi piace però pensare che da quel momento, dall'ultimo punto dell'ultima pagina, tu ti sia riappropriata giorno dopo giorno della tua libertà e che quel tuo star bene, anzi, benissimo iniziale si sia trasformato e radicato nell'angolino più profondo del tuo essere.
Ti auguro, di cuore, che le tue giornate siano costellate di illuminazioni come quelle che, poco per volta, hai condiviso con me e ti hanno restituito la vita proprio davanti ai miei occhi:
"Sentivo il calore nel punto in cui si era posata la sua mano: era stato solo un momento, ma aveva lasciato un'impronta calda, quasi come se fosse stata visibile. Una mano umana aveva esattamente il peso giusto e la temperatura giusta per toccare un'altra persona, mi resi conto".

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