Vent'anni senza Faber. Una vita con Faber.
“E però c'era anche – in questo
spaventoso Eden al contrario in cui eravamo imprigionati – la
sensazione inconfessabile, vicino a Fabrizio, di avere tutto quello
di cui avevo bisogno. Avevo lui.”
[Dori Ghezzi sui giorni del sequestro, nel libro Lui, io,
noi].
Quand'ero piccola, Madre non mi cantava
le ninnenanne. Madre mi cantava La canzone di Marinella e Geordie, il
che mi ha provocato una discreta collezione di turbe infantili.
Marinella me la sono sempre immaginata
con i capelli blu e un vestito bianco e, quando Madre
iniziava a cantarmi la sua storia, credevo davvero che il finale
sarebbe stato diverso. Mi dicevo: dai, questa volta starà attenta a
non scivolare nel fiume. E invece no. Ogni volta scivolava, il vento la vedeva
così bella e dal fiume la portava sopra una stella. Mannaggia a te,
Mariné, guarda dove li metti 'sti piedi, mi dicevo, che poi quel povero
cristo deve bussare per cent'anni alla tua porta. Cent'anni sono
tantissimi!
E poi c'era Geordie. Io alla storia di
Geordie non potevo credere. Come fai a rubare non uno, non due, ma
ben sei cervi nel parco del re e sperare di farla franca? Poi oltre
al danno, la beffa: ti impiccheranno -mi
sembrava esagerato, ma chi ero io per discutere le leggi
britanniche in materia di furto del cervo?- e non useranno una corda qualsiasi, no no. Ti
impiccheranno con una corda d'oro che, mi dicono, è un
privilegio raro. Ah beh, allora grazie.
E quella donna piangeva, piangeva sul
“londonbrig” per il suo Geordie – io ho sempre creduto fosse la
madre, invece a quanto pare era la sua amata -, cavalcava fino a
Londra per implorare cosa? La grazia? No. Implorava per un posticipo
dell'esecuzione, in inverno. Non me ne feci una ragione fino a quando
imparai ad interpretare le metafore.
Sono cresciuta affezionandomi sempre più alle canzoni di De André e al loro esercito di morti male: il Miché che penzolava freddo con una corda sul collo; Piero che dormiva sepolto in un campo di grano; la vittima dell'amore cieco che ammazzava la madre, le strappava il cuore, lo dava in pasto ai cani e si sguarava le vene trallalallalla tralallallero.
Sono cresciuta affezionandomi sempre più alle canzoni di De André e al loro esercito di morti male: il Miché che penzolava freddo con una corda sul collo; Piero che dormiva sepolto in un campo di grano; la vittima dell'amore cieco che ammazzava la madre, le strappava il cuore, lo dava in pasto ai cani e si sguarava le vene trallalallalla tralallallero.
Sono cresciuta imparando piano piano a
cogliere i significati che stavano dietro a quelle e a molte altre
canzoni e ogni volta che le ascoltavo scoprivo una sfumatura diversa,
una nuova allusione.
E De André non mi ha lasciata mai, ha
sempre fatto una comparsata in momenti importanti della mia vita, stupendomi e, in qualche modo, rassicurandomi.
Si è acceso una sigaretta guardandomi da sotto il ciuffo quando, nel mio primissimo anno di insegnamento, inscenammo un processo al lupo di Cappuccetto Rosso e, prima di emettere la sentenza, l'alunna che interpretava il giudice volle recitare uno stralcio dell'omonima canzone - preventivamente censurata -.
Si è acceso una sigaretta guardandomi da sotto il ciuffo quando, nel mio primissimo anno di insegnamento, inscenammo un processo al lupo di Cappuccetto Rosso e, prima di emettere la sentenza, l'alunna che interpretava il giudice volle recitare uno stralcio dell'omonima canzone - preventivamente censurata -.
Mi ha sorriso maliziosamente quando, al
primo appuntamento, scoprii che Riccardo era molto più deandreiano
di me, conosceva molti più aneddoti, molte più canzoni, molti più
significati e aveva tutte le intenzioni di condividere con me questo
suo bagaglio.
Si è seduto vicino a me imbracciando
la chitarra con la sua Ave Maria, quando ho rivelato di aspettare
Leonardo al mio amicodelcuore.
Si è riempito il bicchiere e lo ha
alzato per brindare – probabilmente con Madre – quando mi sono sorpresa a cullare Alice cantandole Amore che vieni, amore che vai.
A me e Riccardo capita, in casa o in auto, di guardarci e dirci: "Oggi ho bisogno di De André" e sentiamo di essere come Dori: abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno. Abbiamo lui. E anche se oggi sono vent'anni che non lo abbiamo più, lo avremo per sempre.

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